giovedì 13 maggio 2010

La nostra tribù



I giorni sono volati lievi lievi... siamo passati, sulla mia terra, leggeri...
Tutti i nostri meravigliosi "accudiddi" (leggi "stranieri, acquisiti") si sono uniti ai nativi, per stringerci in un abbraccio lungo sette giorni.
L'ottavo giorno il cielo ha pianto con noi, perchè soffriva il distacco, il rientro alla città.

In ognuno di quei giorni abbiamo ricevuto innumerevoli segni di affetto, fratellanza, amicizia.
Abbiamo riso e pianto.
Abbiamo fatto il bagno al mare e sotto la pioggia.
Abbiamo mangiato e bevuto, cantato e ballato.
Ci siamo emozionati allo spettacolo della natura, anche di quella umana, e di quella divina.

Abbiamo piantato un seme, e anche nella mia terra sempre battuta dal vento, quel seme germoglierà e diventerà albero, perchè la nostra tribù non smetterà di occuparsene, magari a turno, se la vita ci impegnerà troppo.

Grazie a tutti, genitori, fratelli, parenti, amici, vicini.
Grazie a tutti quelli che ci hanno regalato un sorriso, a chi ci ha accolto, anche senza conoscerci.
A chi ha capito il perchè di tutto e a chi è venuto per capire.

Grazie a chi non c'era con il corpo ma era con noi con il cuore.
Tutti ci avete accompagnato ieri, ci accompagnate oggi, e sarete con noi domani...

e noi con voi...

Maura e Enrico

mercoledì 24 febbraio 2010

Home sweet home



Una volta mi dissi che per me "casa" era quel luogo destinato a trovarsi vicino al cuore ma lontano dal corpo.
E non perchè non potessi raggiungerlo fisicamente, quanto perchè, una volta raggiunto si spostava in quello che avevo appena lasciato!
Erano idee giovanili e di fuga, forse, motivate dal desiderio di non fermarsi e cercare sempre più in là un nuovo posto in cui stare. Mi sentivo come l'Olandese di Leopardi.
Oggi, per fortuna, mi sento "a casa" in molti posti, tutti quelli in cui si respirano serenità, affetto, forti legami, ma c'è un posto che è "più casa" di tutti gli altri, ed è a Palmadula, piccolo paesino a pochi passi dal mare, nella mia amata terra sarda.
E' più casa per tanti motivi, familiari, ereditari, storici persino (con la s minuscola, la nostra piccola storia) per gli abitanti che vivono intorno a me, familiari (quasi tutti) e amici.
La sensazione che ho quando varco il cancelletto del giardino è sempre quello di una tessera che torna al suo posto.
L'odore del mare, del mirto, degli ulivi. Il suono degli oleandri mossi dal vento. La voce delle tortore che si cercano al mattino. Il silenzio meraviglioso della notte e il canto del gallo all'alba. Il rumore dei ricordi del vociare in giardino. La ruvidità setosa del mio amato pino marittimo. Il colore dell'ibiscus in fiore. C'è tutto quello che i sensi chiedono alla natura, ciascuno soddisfatto a modo suo.
La casa abbraccia e accoglie noi viandanti, stanchi dalle circumnavigazioni che la vita ci richiede tutto l'anno, e là riprendiamo le forze, stringiamo amicizie, dimentichiamo le fatiche e le amarezze.
Lei è e sarà sempre la nostra casetta D'Este.

domenica 7 giugno 2009

Una sbarra senza il treno...


Il limite imposto alla nostra libertà è spesso rappresentato da un oggetto di ferro: la sbarra.
Sbarre sono quelle della prigione, di un cancello. Sbarra è quella presso la quale si depone in tribunale.
Oggi, in alcuni posti della mia amata isola, stanno cercando di "metterci dietro le sbarre".
Alcune discese al mare sono state misteriosamente "limitate", ovvero chiuse al traffico di auto e motoveicoli, ma senza spiegazioni davvero convincenti. Aree protette? Oasi faunistiche? Parchi naturali? Niente di tutto questo, nessuna spiegazione davvero chiara è stata data ai cittadini di Palmadula, Stintino, L'Argentiera...
Potremmo attraversarlo a piedi, questo ostacolo, per ora, ma domani chissà?
L'interrogativo inquietante che aleggia tra i cittadini è: perchè? Cosa sta succedendo davvero? A Porto Ferro, dopo la sbarra si estendono delle piccole "aiuole" con alcune piantine striminzite e già bruciate dal vento. A Porto Palmas nemmeno quello, solo un lungo muretto a cattiva imitazione dei nostri tradizionali a secco, e questo pezzo di metallo dipinto di un consolatorio verde, pessima imitazione di qualcosa di naturale.
Cosa sta succedendo?
In una settimana di mia serrata inchiesta torno a casa con più domande che risposte. Chi chiude? Chi sa? Perchè? Ma soprattutto chi ha voglia di agire e reagire?
Mi assale un dubbio orrendo, l'idea di un domani cieco e senza mari da navigare, un domani che è l'oggi di regioni come la Liguria, il Veneto: non vorranno mica privatizzare????
La sola parola mi atterrisce.
Chi ha visitato i litorali tirrenici o adriatici nei mesi tra giugno e settembre sa di cosa parlo: centimetri di spiaggia libera popolata da "diversamente ricchi", ammassati in un unico corpo sudato e unto di creme solari, un mostruoso millepiedi-millemani-milleteste, urlante e frustrato, che spende ogni minuto della settimana lavorativa ad agognare la domenica al mare, e che poi passa ogni nanosecondo di quella fottuta domenica a desiderare l'aria condizionata e lo spazio vitale del proprio ufficio. Al di là della staccionata chilometri di spiaggia privata, seminata a ombrelloni e sedie sdraio, che come girasoli geneticamente modificati tentano di ruotare nella direzione del sole cozzando gli uni contro gli altri e obbligando i bagnanti-paganti a convivere strettamente con persone cui di norma sputerebbero in faccia.
E' questo schifo che vogliamo importare? Io spero proprio di no. Io mi auguro che quello spirto guerrier che rugge dentro noi sardi, quell'orgoglio che è riuscito laddove nessuna regione italiana ha potuto far altrettanto, ovvero lasciare fuori la mafia dalle nostre case, attività, vie, palazzi, istituzioni riesca a farci andare a fondo di ogni questione che investe il nostro territorio.
Questi sono anni difficili, mesi in cui non si porta a casa lo stipendio, giorni in cui non si va nè al cinema nè a prendere una pizza, ore in cui ti giri e ti hanno tolto persino lo svago della TV (mi sa che questa però è una cosa buona), sono momenti in cui viene la tentazione di dire 'fanculo a tutto e a tutti, ma cosa sarebbe di noi se ci togliessero anche questo piacere sublime e gratuito che è lo scendere a mare da soli, con la famiglia, con il marito, la moglie, con il ragazzo, la ragazza? Ma quanti di noi hanno fatto l'amore in macchina alla fine di un viottolo sulla costa? Credo che nel parcheggio di una piazza non sarebbe proprio lo stesso.
Quella strada per La Frana l'abbiamo calcata per generazioni, da Peppa di Nurra in giù, a cavallo, in macchina, in moto, in bici e a piedi, e in trecento anni non mi sembra che le nostre impronte l'abbiano mai sciupata in qualche modo. Siamo state fomichine, libellule.

C'è un pezzo di ferro sulla nostra strada, un metallo duttile, molto più fragile delle nostre paure. Una sbarra che non vuole alzarsi, o meglio che non vuole farlo per tutti, che non vuol far passare un treno, quello dei diritti, e quindi non resta che toglierla.

venerdì 5 giugno 2009

giovedì 7 maggio 2009

Accudiddu

Una parola che mi ha sempre fatto sorridere.
Letteralmente vuol dire "accolto", ma nasconde molti altri significati.
Mi ricorda un po' il termine giapponese gaishin, che tradotto significa straniero, in tutte le sue accezioni, anche un po' dispregiative.
Per noi però l'accudiddu è una persona nata straniera e... sardizzata con il tempo!
Alle volte gli accudiddi diventano sardi più di noi.
Ne ho conosciuto uno che era nato in un'altra patria marinara, ma che poi ha piantato radici così profonde in questa terra brulla e ventosa da rimanervi abbarbicato per sempre.
E un altro ancora mi accompagna, da anni, per lunghe e tirreniche traversate. Uno che non è nemmeno tutto italiano, figuriamoci!
Forse la colpa è della gente.
Ti battezza con il vino e ti marchia con il fuoco.
Ti entra dentro.
Amici che vorrete scoprire questi luoghi, incontrare questa gente, preparatevi, perchè il mal d'Africa è già nel vostro cuore!

sabato 2 maggio 2009

Acronia



Ci sono posti senza tempo.
Dove le lancette dell'orologio girano, ma fanno solo scena, quello che conta è il sole che nasce, il sole che muore.
Da adolescente, malcelando un certo disprezzo, parafrasavo Levi dicendo che Cristo si era fermato a La Corte, la frazione prima di Palmadula, perchè tanto da lì in poi non c'era più nulla da fare.
Tutti mi sembravano imprigionati in un moto perpetuo, che li portava a muoversi ma senza arrivare mai, traportati e spinti dalle forze dei venti.
Sciocca quattordicenne che ero, anche un po' piccoloborghese, volendo.
Ora appena tocco terra, via aria, o via mare, la prima sensazione che provo è l'ubriachezza. Lo iodio, la macchia mediterranea, il maestrale che li trasporta, e magari complice anche un bicchierino di mirto da bere subito, con i vecchi amici del Bar Succu, per celebrare il piacere di essere di nuovo a casa.
In Sardegna ci sono i colleghi dell'ufficio, i compagni di scuola, i cugini e i parenti, gli amici del calcetto, come dappertutto, ma ci sono anche i "cumpagni di tazza", e quelli non si trovano ovunque, eh no! Con loro ti siedi a farti un bicchierino. L'unica domanda cui devi rispondere è: "cosa ti bevi?" è può essere anche un caffé, una birra, una coca o quello che vuoi, di sicuro non puoi bere un "niente grazie". Quello non lo servono, mai. Nè se sei turista, nè se sei appena rientrato da una pausa sigaretta nella verandina-fumatori. Ci sono cose che si trasmettono, attraverso quei bicchieri. Sentimenti che non hanno bisogno di parole. Magari se ne dicono altre, per riempire i silenzi, ma i significati si percepiscono con gli occhi, con i gesti. E' gente che non ti abbandona, la mia gente. Non ha nemmeno bisogno di tendere la mano, quando serve ti ha già preso sulle spalle, e tu ancora non ti eri accorto di averne bisogno.
Un piede tra queste vie è il percorso che distingue il turista dal viaggiatore. Aldilà ci sono le spiagge bianche, il mare blu, meravigliose per tutti, ma diverse per ogni sguardo che le accarezza.
Ciascuno sceglie le sue mete, le sue strade.
Palmadula e l'Argentiera sono mete per piedi curiosi e attenti, per mani tese, per orecchie pronte e cuori aperti.