domenica 7 giugno 2009

Una sbarra senza il treno...


Il limite imposto alla nostra libertà è spesso rappresentato da un oggetto di ferro: la sbarra.
Sbarre sono quelle della prigione, di un cancello. Sbarra è quella presso la quale si depone in tribunale.
Oggi, in alcuni posti della mia amata isola, stanno cercando di "metterci dietro le sbarre".
Alcune discese al mare sono state misteriosamente "limitate", ovvero chiuse al traffico di auto e motoveicoli, ma senza spiegazioni davvero convincenti. Aree protette? Oasi faunistiche? Parchi naturali? Niente di tutto questo, nessuna spiegazione davvero chiara è stata data ai cittadini di Palmadula, Stintino, L'Argentiera...
Potremmo attraversarlo a piedi, questo ostacolo, per ora, ma domani chissà?
L'interrogativo inquietante che aleggia tra i cittadini è: perchè? Cosa sta succedendo davvero? A Porto Ferro, dopo la sbarra si estendono delle piccole "aiuole" con alcune piantine striminzite e già bruciate dal vento. A Porto Palmas nemmeno quello, solo un lungo muretto a cattiva imitazione dei nostri tradizionali a secco, e questo pezzo di metallo dipinto di un consolatorio verde, pessima imitazione di qualcosa di naturale.
Cosa sta succedendo?
In una settimana di mia serrata inchiesta torno a casa con più domande che risposte. Chi chiude? Chi sa? Perchè? Ma soprattutto chi ha voglia di agire e reagire?
Mi assale un dubbio orrendo, l'idea di un domani cieco e senza mari da navigare, un domani che è l'oggi di regioni come la Liguria, il Veneto: non vorranno mica privatizzare????
La sola parola mi atterrisce.
Chi ha visitato i litorali tirrenici o adriatici nei mesi tra giugno e settembre sa di cosa parlo: centimetri di spiaggia libera popolata da "diversamente ricchi", ammassati in un unico corpo sudato e unto di creme solari, un mostruoso millepiedi-millemani-milleteste, urlante e frustrato, che spende ogni minuto della settimana lavorativa ad agognare la domenica al mare, e che poi passa ogni nanosecondo di quella fottuta domenica a desiderare l'aria condizionata e lo spazio vitale del proprio ufficio. Al di là della staccionata chilometri di spiaggia privata, seminata a ombrelloni e sedie sdraio, che come girasoli geneticamente modificati tentano di ruotare nella direzione del sole cozzando gli uni contro gli altri e obbligando i bagnanti-paganti a convivere strettamente con persone cui di norma sputerebbero in faccia.
E' questo schifo che vogliamo importare? Io spero proprio di no. Io mi auguro che quello spirto guerrier che rugge dentro noi sardi, quell'orgoglio che è riuscito laddove nessuna regione italiana ha potuto far altrettanto, ovvero lasciare fuori la mafia dalle nostre case, attività, vie, palazzi, istituzioni riesca a farci andare a fondo di ogni questione che investe il nostro territorio.
Questi sono anni difficili, mesi in cui non si porta a casa lo stipendio, giorni in cui non si va nè al cinema nè a prendere una pizza, ore in cui ti giri e ti hanno tolto persino lo svago della TV (mi sa che questa però è una cosa buona), sono momenti in cui viene la tentazione di dire 'fanculo a tutto e a tutti, ma cosa sarebbe di noi se ci togliessero anche questo piacere sublime e gratuito che è lo scendere a mare da soli, con la famiglia, con il marito, la moglie, con il ragazzo, la ragazza? Ma quanti di noi hanno fatto l'amore in macchina alla fine di un viottolo sulla costa? Credo che nel parcheggio di una piazza non sarebbe proprio lo stesso.
Quella strada per La Frana l'abbiamo calcata per generazioni, da Peppa di Nurra in giù, a cavallo, in macchina, in moto, in bici e a piedi, e in trecento anni non mi sembra che le nostre impronte l'abbiano mai sciupata in qualche modo. Siamo state fomichine, libellule.

C'è un pezzo di ferro sulla nostra strada, un metallo duttile, molto più fragile delle nostre paure. Una sbarra che non vuole alzarsi, o meglio che non vuole farlo per tutti, che non vuol far passare un treno, quello dei diritti, e quindi non resta che toglierla.

venerdì 5 giugno 2009