lunedì 6 settembre 2010

The Snatch




Infiliamo una curva dietro l'altra, per l'ultima volta di questa estate.
A ovest un disco vermiglio, ad est un disco latteo, si fronteggiano. Noi nel mezzo, scivoliamo sulla striscia nera dell'asfalto. Stiamo attaccati alla terra per una forza di gravità che non capiamo fino in fondo, ma che ci fa il favore di tenerci lì.
Piega a destra: Luna. Piega a sinistra: Sole. E via così per chilometri, nell'aria fresca del tramonto.
Non c'è una nuvola e pure piove, dai miei occhi. Strano fenomeno atmosferico. In realtà gli occhi sono come le fontane, l'acqua, le lacrime, arrivano da qualche parte più remota, dal cuore, o dal fegato, come pensano i cinesi, che si sa non sono molto romantici.
Il vento soffia contro, come una forza magnetica che asseconda la mia fatica al distacco. Tutto sembra rallentare la nostra corsa verso il porto, verso un mare che tra poche ore non sarà più il mio, non avrà lo stesso nome, e poi domani comunque non vedrò più per lunghi mesi.
Penso alle Everglades, agli alligatori, ai Seminole. Mi sento come allora. E' la consapevolezza di allontanarsi dalla natura e da se stessi, e fa male. Per andarmene devo lasciare qualcosa qui, lo faccio ogni volta, prima o poi non avrò più nulla da cedere e allora dovrò rimanere, finalmente prigioniera.
All'orizzonte scorgo già le ciminiere, mi mettono più tristezza di quando le vedevo tutti i giorni. Un filo, l'ultimo mi tiene ancora, con un'accellerata lo spezziamo e siamo già via.