martedì 24 maggio 2011

Bastian contrario













Così mi chiamavano da piccola. Sempre contro, sempre a voler vedere l'altro lato, anche se magari era più brutto.
Oggi mi chiedo chi è, nella mia vita, il Bastian contrario. Ogni volta che si accende il monitor su di una notizia, tutto mi sembra contro. contro il buon senso, contro la logica, contro la volontà, contro la sovranità, dei cittadini che sembrano dover dire continuamente di no.
No NUKE (ma al referendum dobbiamo dire SI, se ce lo permetteranno), NO TAV, e ora anche NO RADAR.
Non bastavano a questa nostra terra martoriata da millenni di incursioni tutte le basi militari che ci avvelenano il sangue ed i sogni. Non bastavano le centrali chimiche, a carbone e via andare. No, non bastavano perchè quando ci si abitua a governare pensando di essere un uomo sopra ad un formicaio non c'è limite al potere che si pensa di poter esercitare. E così ecco la popolazione dell'Argentiera a dover dare asilo ad un aggeggio proveniente da Israele e già esiliato dalla Sicilia. Un apparecchio che secondo la Guardia di Finanza dovrebbe servire a scongiurare gli sbarchi dei clandestini!!! Ma per favore!!! Gli ultimi ad essere sbarcati così sulle nostre coste forse sono stati i Fenici!
Ma il popolo in alcuni posti è ancora sovrano, almeno nel cuore, e così si accampa e chiude il passaggio ai mezzi, così che nessun lavoro possa iniziare, ma è un popolo minuscolo, quello dei residenti dell'Argentiera, che ha bisogno di essere protetto e tutelato, che ha bisogno che il mondo sappia dello scempio che stanno facendo sulle coste sarde.
Ogni minuto mi guardo intorno e penso che vorrei essere là, con loro, ad accamparmi e scrivere cartelloni. Non mollate ragazzi, qui cercheremo comunque di fare qualcosa.
Non mi sveglierò tra un anno con un nuovo panorama, voglio quello che la natura ha lasciato per noi.
Se lo Stato si mette contro i cittadini, saranno i cittadini ad essere uniti.

giovedì 7 aprile 2011

Il Muto di Gallura















Bastiano Tansu non era un romanzo di Enrico Costa.
Bastiano Tansu non era di sicuro uno dei più "feroci e disperati protagonisti della tremenda faida che coivolse Aggius dal 1849 al 1856".
Wikipedia è un'enciclopedia libera, talvolta libera di scrivere cazzate.
In un periodo come questo in cui l'informazione è fragile come una puttana affamata, mi aggrappo con odio all'insolenza della superficialità, del pressapochismo, con cui si scrive la storia.
Tutte le storie. Quella di un uomo intelligentissimo e sfortunato, per moltissimi anni in balia del suo destino e di chi ne tira i fili.
Quella di milioni di uomini che si ammazzano in ogni palpito del mondo per motivi a loro sconosciuti, accecati da falsi miti e falsi dei.
Quella degli innocenti cui raccontano che va tutto bene, anche se diventano luminescenti, magari in un futuro genereranno degli X-men, forse non proprio quelli che si aspettano, ma tant'è.
Non riusciamo a scovare delle verità nemmeno nel passato, come possiamo credere alle menzogne che ci propinano nel presente?
La storia del Muto di Gallura la possiamo leggere così:
http://it.wikipedia.org/wiki/Il_muto_di_Gallura
in 12 righe
oppure così:
http://www.sardegnacultura.it/documenti/7_88_20060728103915.pdf

in 170 pagine.
Certo, non si fa la stessa fatica, ma non si hanno nemmeno le stesse informazioni.

La conoscenza costa fatica, sempre. Se fosse facile non ci troveremmo dove siamo adesso.
Il Muto tace, forse ascolta, forse legge.
Imitiamolo.

Sardegna come un'infanzia

Oggi lascio la parola ad altri.
Elio Vittorini, pittore in parole.
Francesco Cito, poeta in immagini.

Francesco Cito from e-photoreview on Vimeo.

lunedì 6 settembre 2010

The Snatch




Infiliamo una curva dietro l'altra, per l'ultima volta di questa estate.
A ovest un disco vermiglio, ad est un disco latteo, si fronteggiano. Noi nel mezzo, scivoliamo sulla striscia nera dell'asfalto. Stiamo attaccati alla terra per una forza di gravità che non capiamo fino in fondo, ma che ci fa il favore di tenerci lì.
Piega a destra: Luna. Piega a sinistra: Sole. E via così per chilometri, nell'aria fresca del tramonto.
Non c'è una nuvola e pure piove, dai miei occhi. Strano fenomeno atmosferico. In realtà gli occhi sono come le fontane, l'acqua, le lacrime, arrivano da qualche parte più remota, dal cuore, o dal fegato, come pensano i cinesi, che si sa non sono molto romantici.
Il vento soffia contro, come una forza magnetica che asseconda la mia fatica al distacco. Tutto sembra rallentare la nostra corsa verso il porto, verso un mare che tra poche ore non sarà più il mio, non avrà lo stesso nome, e poi domani comunque non vedrò più per lunghi mesi.
Penso alle Everglades, agli alligatori, ai Seminole. Mi sento come allora. E' la consapevolezza di allontanarsi dalla natura e da se stessi, e fa male. Per andarmene devo lasciare qualcosa qui, lo faccio ogni volta, prima o poi non avrò più nulla da cedere e allora dovrò rimanere, finalmente prigioniera.
All'orizzonte scorgo già le ciminiere, mi mettono più tristezza di quando le vedevo tutti i giorni. Un filo, l'ultimo mi tiene ancora, con un'accellerata lo spezziamo e siamo già via.

giovedì 13 maggio 2010

La nostra tribù



I giorni sono volati lievi lievi... siamo passati, sulla mia terra, leggeri...
Tutti i nostri meravigliosi "accudiddi" (leggi "stranieri, acquisiti") si sono uniti ai nativi, per stringerci in un abbraccio lungo sette giorni.
L'ottavo giorno il cielo ha pianto con noi, perchè soffriva il distacco, il rientro alla città.

In ognuno di quei giorni abbiamo ricevuto innumerevoli segni di affetto, fratellanza, amicizia.
Abbiamo riso e pianto.
Abbiamo fatto il bagno al mare e sotto la pioggia.
Abbiamo mangiato e bevuto, cantato e ballato.
Ci siamo emozionati allo spettacolo della natura, anche di quella umana, e di quella divina.

Abbiamo piantato un seme, e anche nella mia terra sempre battuta dal vento, quel seme germoglierà e diventerà albero, perchè la nostra tribù non smetterà di occuparsene, magari a turno, se la vita ci impegnerà troppo.

Grazie a tutti, genitori, fratelli, parenti, amici, vicini.
Grazie a tutti quelli che ci hanno regalato un sorriso, a chi ci ha accolto, anche senza conoscerci.
A chi ha capito il perchè di tutto e a chi è venuto per capire.

Grazie a chi non c'era con il corpo ma era con noi con il cuore.
Tutti ci avete accompagnato ieri, ci accompagnate oggi, e sarete con noi domani...

e noi con voi...

Maura e Enrico

mercoledì 24 febbraio 2010

Home sweet home



Una volta mi dissi che per me "casa" era quel luogo destinato a trovarsi vicino al cuore ma lontano dal corpo.
E non perchè non potessi raggiungerlo fisicamente, quanto perchè, una volta raggiunto si spostava in quello che avevo appena lasciato!
Erano idee giovanili e di fuga, forse, motivate dal desiderio di non fermarsi e cercare sempre più in là un nuovo posto in cui stare. Mi sentivo come l'Olandese di Leopardi.
Oggi, per fortuna, mi sento "a casa" in molti posti, tutti quelli in cui si respirano serenità, affetto, forti legami, ma c'è un posto che è "più casa" di tutti gli altri, ed è a Palmadula, piccolo paesino a pochi passi dal mare, nella mia amata terra sarda.
E' più casa per tanti motivi, familiari, ereditari, storici persino (con la s minuscola, la nostra piccola storia) per gli abitanti che vivono intorno a me, familiari (quasi tutti) e amici.
La sensazione che ho quando varco il cancelletto del giardino è sempre quello di una tessera che torna al suo posto.
L'odore del mare, del mirto, degli ulivi. Il suono degli oleandri mossi dal vento. La voce delle tortore che si cercano al mattino. Il silenzio meraviglioso della notte e il canto del gallo all'alba. Il rumore dei ricordi del vociare in giardino. La ruvidità setosa del mio amato pino marittimo. Il colore dell'ibiscus in fiore. C'è tutto quello che i sensi chiedono alla natura, ciascuno soddisfatto a modo suo.
La casa abbraccia e accoglie noi viandanti, stanchi dalle circumnavigazioni che la vita ci richiede tutto l'anno, e là riprendiamo le forze, stringiamo amicizie, dimentichiamo le fatiche e le amarezze.
Lei è e sarà sempre la nostra casetta D'Este.

domenica 7 giugno 2009

Una sbarra senza il treno...


Il limite imposto alla nostra libertà è spesso rappresentato da un oggetto di ferro: la sbarra.
Sbarre sono quelle della prigione, di un cancello. Sbarra è quella presso la quale si depone in tribunale.
Oggi, in alcuni posti della mia amata isola, stanno cercando di "metterci dietro le sbarre".
Alcune discese al mare sono state misteriosamente "limitate", ovvero chiuse al traffico di auto e motoveicoli, ma senza spiegazioni davvero convincenti. Aree protette? Oasi faunistiche? Parchi naturali? Niente di tutto questo, nessuna spiegazione davvero chiara è stata data ai cittadini di Palmadula, Stintino, L'Argentiera...
Potremmo attraversarlo a piedi, questo ostacolo, per ora, ma domani chissà?
L'interrogativo inquietante che aleggia tra i cittadini è: perchè? Cosa sta succedendo davvero? A Porto Ferro, dopo la sbarra si estendono delle piccole "aiuole" con alcune piantine striminzite e già bruciate dal vento. A Porto Palmas nemmeno quello, solo un lungo muretto a cattiva imitazione dei nostri tradizionali a secco, e questo pezzo di metallo dipinto di un consolatorio verde, pessima imitazione di qualcosa di naturale.
Cosa sta succedendo?
In una settimana di mia serrata inchiesta torno a casa con più domande che risposte. Chi chiude? Chi sa? Perchè? Ma soprattutto chi ha voglia di agire e reagire?
Mi assale un dubbio orrendo, l'idea di un domani cieco e senza mari da navigare, un domani che è l'oggi di regioni come la Liguria, il Veneto: non vorranno mica privatizzare????
La sola parola mi atterrisce.
Chi ha visitato i litorali tirrenici o adriatici nei mesi tra giugno e settembre sa di cosa parlo: centimetri di spiaggia libera popolata da "diversamente ricchi", ammassati in un unico corpo sudato e unto di creme solari, un mostruoso millepiedi-millemani-milleteste, urlante e frustrato, che spende ogni minuto della settimana lavorativa ad agognare la domenica al mare, e che poi passa ogni nanosecondo di quella fottuta domenica a desiderare l'aria condizionata e lo spazio vitale del proprio ufficio. Al di là della staccionata chilometri di spiaggia privata, seminata a ombrelloni e sedie sdraio, che come girasoli geneticamente modificati tentano di ruotare nella direzione del sole cozzando gli uni contro gli altri e obbligando i bagnanti-paganti a convivere strettamente con persone cui di norma sputerebbero in faccia.
E' questo schifo che vogliamo importare? Io spero proprio di no. Io mi auguro che quello spirto guerrier che rugge dentro noi sardi, quell'orgoglio che è riuscito laddove nessuna regione italiana ha potuto far altrettanto, ovvero lasciare fuori la mafia dalle nostre case, attività, vie, palazzi, istituzioni riesca a farci andare a fondo di ogni questione che investe il nostro territorio.
Questi sono anni difficili, mesi in cui non si porta a casa lo stipendio, giorni in cui non si va nè al cinema nè a prendere una pizza, ore in cui ti giri e ti hanno tolto persino lo svago della TV (mi sa che questa però è una cosa buona), sono momenti in cui viene la tentazione di dire 'fanculo a tutto e a tutti, ma cosa sarebbe di noi se ci togliessero anche questo piacere sublime e gratuito che è lo scendere a mare da soli, con la famiglia, con il marito, la moglie, con il ragazzo, la ragazza? Ma quanti di noi hanno fatto l'amore in macchina alla fine di un viottolo sulla costa? Credo che nel parcheggio di una piazza non sarebbe proprio lo stesso.
Quella strada per La Frana l'abbiamo calcata per generazioni, da Peppa di Nurra in giù, a cavallo, in macchina, in moto, in bici e a piedi, e in trecento anni non mi sembra che le nostre impronte l'abbiano mai sciupata in qualche modo. Siamo state fomichine, libellule.

C'è un pezzo di ferro sulla nostra strada, un metallo duttile, molto più fragile delle nostre paure. Una sbarra che non vuole alzarsi, o meglio che non vuole farlo per tutti, che non vuol far passare un treno, quello dei diritti, e quindi non resta che toglierla.